Chi vive in Italia sa che il vino non è un semplice prodotto, ma rappresenta, una tradizione antichissima frutto di un rapporto costante tra individuo ed ambiente.
Una tradizione che nasce dall’esperienza e dal legame che le persone instaurano con la terra, con il clima, con l’alternarsi delle stagioni.
Pontelandolfo non figura tra i paesi del Sannio noti per i suoi vini.
In passato, era diffusa, la tendenza a produrre vino esclusivamente per il consumo in famiglia ed in tempi recenti, stiamo assistendo, anche qui, ad un crescente interesse per la viticoltura.

Questo anche grazie a chi, si impegna a considerare come punti di forza, elementi, quali la maggiore altitudine, le temperature più basse e la particolare conformazione geografica del territorio, ritenuti, a torto, poco favorevoli alla produzione vitivinicola.


Marenza Pengue, titolare dell’azienda agricola casaldunese “Fosso degli Angeli” ci conferma, infatti, che i migliori vini si producono in collina.
E proprio al confine con Pontelandolfo, in località Cese, a circa 700 m sul mare, si trova uno dei suoi vigneti, con il recente impianto di due varietà autoctone: “Fiano” e “Falanghina”.
Marenza, peraltro, insieme al suo team di famiglia, coltiva anche altre tipologie di uve dall’aglianico, allo sciascinoso, al piedirosso e al greco…Tutti vitigni autoctoni dislocati a diverse altitudini sui territori di Casalduni, Guardia Sanframondi e Castelvenere, dai quali ricava vini di eccellente qualità, di cui ci parla con quella luce negli occhi che hanno solo le persone che amano ciò che fanno.
Ci incontriamo nella sulla cantina, per parlare di vino – ma non solo – accompagnate da una bottiglia di Sannio Sciascinoso DoP, “Voscu”, (un rosso ricavato dall’omonimo vitigno autoctono campano lo “Sciascinoso”, oggi scarsamente presente nel beneventano e prodotto – anche se con processi di vinificazione differenti – da pochissime aziende della provincia di Benevento, tra cui la nota cantina “Terra di Briganti” a Casalduni).
L’incontro con Marenza è anche l’occasione per approfondire la sua esperienza di donna che ha deciso di rimanere in un piccolo paese del sud e di fare impresa.
Il dialogo di una mattinata trascorsa con lei merita di essere condiviso, perché la sua esperienza può sicuramente ispirare i giovani che decidono di rimanere sul territorio e di avviare una propria attività.
Cominciamo col dire che, secondo Marenza, al di là dell’altitudine a cui è posizionato un vigneto, l’elemento ideale per produrre del vino di qualità è l’esposizione. Le viti, infatti devono essere esposte quanto più possibile a sud, evitando che siano eccessivamente vicine a boschi. Ci spiega, ad esempio, che le querce producono sostanze allopatiche che indeboliscono e rendono meno produttivo il vigneto. Un altro elemento importante è rappresentato dalle caratteristiche del terreno. Difatti, il terreno argilloso, tipico di alcuni territori di Pontelandolfo e Casalduni, fa si che le viti offrano un prodotto qualitativamente migliore rispetto ad altre zone, nonostante ci mettano più tempo ad attecchire e a crescere su questo tipo di suolo (addirittura nei primi 3 o 4 anni sono rese praticamente improduttive).


Quanto alle varietà di uva che si prestano ad essere impiantate nei nostri territori, la scelta dovrebbe ricadere sulle varietà autoctone (quindi aglianico, falanghina, fiano, greco, camaiola prima detta Barbera prodotta principalmente a Castelvenere).
In particolare, per la zona di Pontelandolfo, posta a una maggiore altitudine, si potrebbe pensare anche ad impiantare delle uve “primitive”, come ad esempio “Moscato” e “Chardonnay”, che maturando precocemente, già a metà agosto, possono essere portate ad un buon grado di maturazione.
Tuttavia, come ci tiene a sottolineare, non ci sono regole fisse nella produzione del vino, perché l’attività umana si deve conformare alla natura che è, spesso, imponderabile. La coltivazione diventa, quindi, una continua attività di adattamento e sperimentazione, grazie alla quale è quasi impossibile annoiarsi, «perché l’uva è diversa ogni anno e non si può pensare di lavorarla sempre allo stesso modo».
Quando, infatti, le chiedo cosa l’ha spinta a dedicarsi all’attività agricola, mi racconta che tutto nasce dalla volontà di mettersi in gioco e dalla propensione per ciò che la porta a crescere e a sperimentare. Così, ad esempio, il vigneto in “località Cese” le ha consentito di “sperimentare” un prodotto al fine di rendenderlo più personale «si tratta di un vigneto giovane, posto sui 700 metri, con caratteristiche tutte particolari. Quest’anno abbiamo prodotto una falanghina non destinata all’imbottigliamento, ma l’anno prossimo, proprio per le sue qualità, vorremmo provare a spumantizzarlo facendo concludere la fermentazione in bottiglia».
E poi, come tutto ciò che cresce in natura, ogni vitigno è diverso dall’altro. «L’aglianico, ad esempio, è molto produttivo, mentre prima di individuare la corretta potatura del piedirosso, sono trascorsi diversi anni, per via del tipo di crescita molto particolare. Difatti, sebbene sia stato impiantato nel 2012, la prima raccolta è stata fatta nel 2018».
La sua azienda agricola è, inoltre, certificata biologica, sia nella coltivazione dell’uva che nella produzione del vino.


Investire nel biologico, secondo Marenza, significa rimanere in sintonia con l’ambiente per produrre un vino dalle ottime proprietà; «ma anche assumersi maggiori rischi, e lavorare tanto di più, in un contatto costante tra l’agricoltore e il terreno, a partire dai trattamenti che devono essere costituiti unicamente da prodotti naturali da contatto, e che prevedono quindi un maggiore lavoro, ma anche una più attenta osservazione del vigneto. In presenza di insetti nocivi, è possibile unicamente far ricorso ad insetti antagonisti o eventualmente utilizzare i bacilli».
A tal proposito, l’azienda si avvale di una stazione meteorologica, in adesione a un progetto della Regione Campania, grazie alla quale tutti i dati della centralina meteorologica impiantata in prossimità dei vigneti – quali l’umidità, i venti, il grado di bagnatura fogliare – vengono analizzati giornalmente da un’unità centrale che pubblica su un sito web tutti i bollettini fitosanitari, riscontrando per tempo eventuali condizioni per lo sviluppo di malattie di origine fungina. I dati forniti dalla stazione metereologica sono utili a tutte le aziende che si trovano in un raggio di 4 km da essa e quindi di grandissima valenza per le aziende che ne abbiano necessità.
Alla domanda su cosa voglia dire per una donna gestire autonomamente e direttamente un’azienda agricola, mi risponde che, sebbene si tratti di un lavoro che ama perché frutto di una libera scelta, il settore vitivinicolo, è ancora oggi un ambiente profondamente maschile. Capita ad esempio che alle fiere, molti si stupiscano del fatto che sia una donna a lavorare il vino. Mi racconta che in generale, c’è ancora un certo pregiudizio nei confronti delle donne che dirigono un’azienda agricola. Spesso, nei rapporti con l’esterno, è necessario rimarcare le proprie capacità e competenze. Anche se di recente si sta affermando un cambio di mentalità.
In generale, gestire un’azienda agricola nel sud Italia, non è “impresa” facile. Secondo Marenza, manca ancora un’efficace strategia di promozione dei prodotti del sud, che, per quanto di qualità, stentano ad affermarsi sul mercato. «Occorrerebbe una maggiore capacità di cooperazione tra tutti i piccoli coltivatori locali. Inoltre, le giovani aziende agricole hanno bisogno di aziende specializzate in grado di fornire supporto tecnico, ma anche burocratico per la gestione contabile, per la raccolta e divulgazione di dati e informazioni, per l’accesso a contributi o a fondi europei…».
La caparbietà, la voglia di fare per la realizzazione dell’obiettivo sono stati elementi determinanti nel portare avanti la sua attività, anche durante le inevitabili difficoltà economiche – comuni a tante piccole aziende vitivinicole – subentrate a causa del COVID.
La scelta di condurre un’azienda agricola nel rispetto della natura e del consumatore, rinunciando a un lavoro ben retribuito in una grande città, per ritornare in quegli stessi campi che l’hanno vista crescere, è stata principalmente una scommessa con se stessa.
Che la scommessa l’abbia vinta ce lo conferma la bontà del vino rosso che stiamo bevendo…forte, deciso e autentico.

(R.Mancini)