La Giunta Comunale di Pontelandolfo, con delibera Comunale n. 52 del 1 giugno 2020, ha stabilito il riconoscimento di un bonus a parziale rimborso del costo di pernottamento per chi decida di soggiornare per un periodo superiore a tre giorni in una delle strutture ricettive presenti sul territorio Comunale (qui la lista) nel periodo compreso tra il 15 luglio e il 15 settembre 2020 (vai al bando). L’iniziativa mira a favorire lo sviluppo di un turismo lento attraverso un’offerta che prevede la visita e il soggiorno in uno dei più affascinanti borghi dell’Appennino centro-meridionale.

Perché visitare Pontelandolfo?
Perché un’esperienza turistica a Pontelandolfo rappresenta, in primo luogo, un viaggio all’insegna della scoperta del territorio, delle relazioni umane e di se stessi.
I turisti avranno l’opportunità di passeggiare a piedi per il centro storico godendo della quiete delle sue stradine, (magari alla ricerca degli Stemmi gentilizi), seguendo liberamente un percorso, fino ad arrivare ai piedi della maestosa Torre medioevale che domina la grande piazza. Oppure potranno passare accanto all’antica Chiesa settecentesca del S.S.Salvatore per osservare l’incredibile paesaggio della valle circostante.
Pontelandolfo presenta, inoltre, una varietà di percorsi naturalistici. Tra questi, quello più noto, prevede l’escursione sul Monte Calvello, a circa 1000 metri di quota, a cui si accede attraversando la fitta radura della faggeta secolare, per poi godere, arrivati in cima, di uno spettacolo naturalistico estremamente suggestivo.
Così come altrettanto affascinanti sono i percorsi attraverso i torrenti e corsi d’acqua di cui è molto ricca la zona. Si ritiene, al riguardo, che proprio la presenza di diverse sorgenti abbia favorito i primi insediamenti abitativi sul territorio che si fanno risalire probabilmente al IV sec. A.C. se non addirittura al VI sec. A.C. come testimoniato dal rinvenimento di alcune ceramiche Sannitiche.
Pontelandolfo è stato, inoltre, teatro di una delle vicende più emblematiche e controverse dell’Italia post risorgimentale. In proposito, il paese offre un interessante percorso storico su questi “fatti del 1861”, attraverso cui il visitatore avrà la possibilità di conoscere e di approfondire eventi storici spesso non presenti nei libri di storia.
Gli appassionati di cinema potranno visitare il centro Studi Ugo Gregoretti, che raccoglie il suo immenso archivio, conservato presso l’ottocentesco palazzo Rinaldi, che si compone di scritti inediti del regista, lettere di varie personalità (da Rossellini a Rodari, passando per Napolitano e Guttuso), articoli e manifesti, libri e riviste, premi e riconoscimenti. Si tratta di una grande raccolta, che ripercorre, attraverso la figura del grande Maestro, la storia del Novecento italiano.
Il viaggio a Pontelandolfo è anche l’occasione per scoprire i suoi sapori e i suoi prodotti tipici, come l’olio, il miele o i prodotti caseari, magari degustandoli presso uno dei diversi agriturismi della zona.
Visitare Pontelandolfo significa poter godere della vista degli immensi oliveti che contraddistinguono l’intero paesaggio caratterizzato dalle delicate sfumature del verde oliva. Da sempre, infatti, l’olivicoltura rappresenta una delle principali risorse agricole del territorio.
Qui si coltiva in prevalenza la Cultivar Ortice, che rappresenta la varietà principale e dalla quale si ricava l’olio extravergine d’oliva alla base di tutte le ricette tipiche di Pontelandolfo.
Visitare Pontelandolfo è un modo per conoscere tutte le importanti tradizioni che lo caratterizzano, come ad esempio l’antica industria tessile, il gioco della Ruzzola del formaggio che ancora oggi si pratica per le vie del paese durante tutto il periodo di Carnevale e lo straordinario Gruppo Folk in cui i giovani componenti indossano il tradizionale abito pontelandolfese vincitore di importanti premi e riconoscimenti internazionali per la sua originalità e per il suo particolare valore storico.
Il paese è, in fondo, la meta ideale per chi vuole trascorrere dei giorni all’insegna del riposo e della tranquillità, ma anche del gusto e della cultura.
Ricordiamo, inoltre, che Pontelandolfo dista circa 25 km dalla città di Benevento, nota per il suo patrimonio storico-artistico, circa 21 km dall’area archeologica di epoca romana “Altilia Saepinum” e circa 20 Km da Pietrelcina, paese natale di San Pio. Queste destinazioni potranno magari essere inserite nel proprio programma di viaggio.
Visitare Pontelandolfo è un modo alternativo di trascorrere le vacanze che consente di condividere del tempo con la famiglia e con i propri cari passeggiando tra la natura, ammirando paesaggi, attraversando torrenti, respirando aria pura lontani dal traffico delle città, per ritrovare nella calma e nell’incanto dei luoghi la possibilità di riconciliarsi con se stessi e con la natura.
A ben pensarci, il racconto di certi luoghi non basta, bisogna attraversarli per sentirne i sapori, per osservare la meraviglia dei tramonti sempre diversi, per ascoltare dal vivo le storie degli anziani, per immergersi nelle suggestioni cromatiche dei tessuti tradizionali, per osservare con pienezza lo spettacolo immenso della natura, per sentire il profumo dei tigli durante certe sere di luglio seduti sulla panchina sotto la Torre ad osservare le stelle.

Per info e dettagli circa le attività puoi contattarci via mail a info@visitpontelandolfo.it o sulla pagina Facebook ed Instagram @visitpontelandolfo 

TI ASPETTIAMO!

 

 

Chiesa rurale di San Rocco – extra moenia

Questa Chiesa rurale, situata a Nord dell’abitato lungo la statale Sannitica, ora viale San Rocco o Viale Europa, posta fuori la cinta muraria del paese (da cui dista circa 500 metri), edificata prima del 1600.
Per la fondazione della struttura ecclesiale si può far riferimento alle presenze diffuse sul territorio di edifici utilizzati per dare ricovero ed assistenza a pellegrini e viandanti, posti sui percorsi delle antiche strade e che spesso diventavano luoghi di culto e di aggregazione sociale (nel territorio ricordiamo Santa Teodora, la Chiesa della Santa Croce e la Chiesa di San Benedetto). La prima data certa di consacrazione di questa Chiesa a San Rocco è quella del 1609 e la successiva restaurazione del 1785 con jus patronato della Universitas (Comune).
Nel ricordare che la devozione al Santo, soprattutto dei viandanti e dei pellegrini, assume un maggior ruolo come “patrono” della peste che si abbattè in Pontelandolfo il 15 agosto del 1656 mietendo 1.195 vittime.
La Chiesa Rurale di San Rocco viene descritta dal Cardinale Orsini, come “Campestrem”, nel 1693 bisognosa di interventi di riparazioni e restauri dei tetti della Chiesa, della Sagrestia, del Campanile e del Romitorio.
Nelle prime operazioni post sismiche viene apposta la Croce sopra la Chiesa, riparati i tetti, aperto e pulito il fossato esistente intorno a tutta la struttura per preservarla dall’umidità. Umidità presente in tutto il complesso San Rocco che a più riprese si tenterà di debellare con vari rimedi, dalla spicconatura e sostituzione degli intonaci, ai rimedi antichi suggeriti dal Vescovo della “cenerata e sale”.
L’interno della Chiesa, con unica navata (larga metri 8 circa e larga metri 5,50), si presentava con un pavimento lastricato a calce, con un unico altare in pietra dedicato a San Rocco, la statua di San Michele Arcangelo, che nel 1693 viene aggiustata e trasferita nella Chiesa Madre, ed una iscrizione del 1709. A sinistra dell’altare l’ingresso alla sagrestia (lunga circa 4 metri e larga 3 metri) e alla cella dell’eremita.
All’esterno un piccolo campanile,con una campana, che si ergeva al di sopra delle stanze dell’ Eremita, una Icona affrescata con l’immagine di San Rocco sopra la porta di ingresso e un ampio spazio davanti la struttura.

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BANDO CONCORSO “Balconi Fioriti” – I EDIZIONE 2020
Art. 1 – FINALITÁ: La Pro Loco di Pontelandolfo promuove la 1^ edizione del concorso “BALCONI FIORITI” con la finalità di coinvolgere i cittadini nella valorizzazione e abbellimento del paese con allestimenti floreali.
Art. 2 – PARTECIPAZIONE: Al Concorso possono partecipare gli abitanti – residenti e domiciliati – del Comune di Pontelandolfo. Il Concorso è rivolto a tutti i cittadini privati ed associazioni. La partecipazione è gratuita.
Art. 3 – OGGETTO DEL CONCORSO: Allestimento di balconi, terrazzi, finestre, muri, portoni e zone adiacenti alle proprie abitazioni con composizioni floreali in vaso, in fioriera o piantati. L’ubicazione della composizione deve essere all’esterno.
Art. 4 – DURATA DEL CONCORSO: Ogni partecipante può inviare fino a un massimo di 3 foto via email all’indirizzo: infopoint.prolocopontelandolfo@gmail.com dal 15/05/2020 al 15/06/2020, indicando nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico. Nell’oggetto della mail va apposta la dicitura “CONCORSO BALCONI FIORITI 2020”.
Le foto pervenute con dati anagrafici incompleti e/o non verificabili o in forma anonima saranno escluse automaticamente dalla partecipazione.

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Il particolare momento di emergenza sanitaria che stiamo attraversando non è sicuramente uno dei primi eventi epidemici che l’Italia e il resto del mondo hanno dovuto affrontare. Di emergenze epidemiologiche in passato ce ne sono state diverse e spesso dagli esiti ancora più nefasti, a causa anche di differenti fattori socio economici ed igienico sanitari.
Come prevedibile anche Pontelandolfo non è stata immune alle varie epidemie che hanno colpito negli anni addietro il resto del Paese. Tra queste, la peste diffusasi in Europa tra il 1629 e il 1679 con i suoi diversi focolai, ha lasciato nell’immaginario collettivo, il ricordo più indelebile, complice probabilmente, la narrazione fatta dal Manzoni nel suo celeberrimo romanzo “I promessi sposi”.
In questa sezione, grazie al resoconto dello studioso e appassionato di storia locale ANTIMO ALBINI, realizzato attraverso la ricerca e l’analisi delle fonti storiche, abbiamo la possibilità di approfondire il delicato e doloroso periodo della diffusione della “peste” a Pontelandolfo nel 1656 e di ulteriori pestilenze e carestie con interessanti curiosità e approfondimenti:

LA PESTE del 1656

Nel Regno di Napoli la Peste del 1656 probabilmente fu importata a Napoli dalla Sardegna , dove già dal 1650 faceva scempio degli abitanti, da un certo Masone, rivoluzionario e capopopolo esiliato e tornato dalla Sardegna nel mese di gennaio, già ammalato e appena sbarcato dopo due giorni “tutto coperto di lividi e petecchie” morì del male nell’ospedale dell’ Annunziata di Napoli. I decessi successivi per contagio furono legati a questo primo caso e furono: l’inserviente dello stesso ospedale, la madre dell’inserviente, poi il padrone di casa dello stesso. Le voci fatte circolare (religiose, politiche e popolane) parlavano di segni premonitori, come l’eclissi di sole del 12 agosto del 1654, la visione di una pallida cometa dal colore della morte, l’eruzione del Vesuvio nel 1631, vari terremoti e la carestia. Si volle dare la colpa ai Francesi, cacciati dagli spagnoli nel 1647, e che tornati nel 1656 spargevano delle polveri velenose nell’acqua benedetta delle chiese e sulle monete. Naturalmente all’epoca non si poteva conoscere l’origine della terribile malattia individuata nella puntura delle pulci dei topi soltanto verso la fine del 1800.
L’infezione derivava dal sangue del topo nero che ingerito dalla pulce lo trasmetteva all’uomo che con gli abiti, la sporcizia, il sudore ed il tepore umano assicuravano la diffusione della malattia. La peste insorgeva violenta dopo un periodo di incubazione da 2 a 12 giorni con la presenza di febbre alta e con sete inesauribile, urine “nere come inchiostro”, cefalea, fotosensibilità e delirio; pustole e bubboni nelle zone punte dalla pulce infetta, di solito nella zona inguinale e ascellare. I medici applicavano metodi fantasiosi ed empirici: visitando gli ammalati a distanza, vestendo mantelli cerati, guanti e maschera con occhiali protettivi e una specie di lungo becco d’uccello sul naso che conteneva una spugna imbevuta di un composto di sali ed erbe aromatiche disinfettanti come il rosmarino, aglio e ginepro. Se i bubboni non erano usciti si purgavano gli ammalati con medicine confacenti alla febbre maligna. Se il bubbone era uscito si applicavano sopra ventose infuocate mattina e sera; levata la ventosa si applicava un impiastro caldo di cipolla bianca arrostita ed un composto di vari ingredienti con base di carne di vipera (teriaca) o altri rimedi ritenuti efficienti. A queste cure si aggiungevano i tanti suggerimenti di persone “sapute” che consigliavano di portare in mano una fiaccola di pece, avere in bocca cibo senza ingoiarlo,spruzzare aceto su ogni cosa soprattutto i denari, ingoiare pietre preziose, parlare da lontano, portare addosso amuleti e immagini votive (usanza popolare largamente diffusa anche successivamente). Il prelievo delle salme da parte degli incaricati, per evitare il contatto, avveniva tramite uncini di ferro e non di rado si prelevavano persone ancora vive ma con evidenti segni del male. Così cadaveri e moribondi venivano portati nei pressi dell’ Annunziata (appena fuori le mura) per essere seppelliti nella fossa comune.
La gente, visto fallire ogni rimedio medico non restò che affidarsi a processioni penitenziali, digiuni e straordinarie beneficenze. La decimazione di intere famiglie in diversi casi procurò ricchezze insolite per i sopravvissuti che, scampati alla peste, dichiararono volontà testamentarie di lasciti e donativi molto dubbie. In questa occasione si registra l’appropriazione di terre abbandonate da parte della Camera Ducale. L’ importazione del contagio a Pontelandolfo fu probabilmente dovuta al rifugio nel borgo dai paesi limitrofi e dal ritorno dei concittadini che rientrarono da Napoli dove risiedevano per censo, per studio o affari . La peste si manifestò e diffuse dal 15 Agosto del 1656 con strascichi che durarono fino al 1662.
[Vedi Tassa dei Fuochi – 287 fuochi 1.587].
Se consideriamo che in tutto il paese nel censimento del 1648 erano presenti 282 fuochi (circa 1.560 abitanti) e che al termine della pestilenza nel 1669 si registrano 193 fuochi (circa 1.067 abitanti) ci rendiamo conto che l’evento della peste portò in un ventennio ad una incisiva riduzione totale degli abitanti del borgo. Il flagello della peste viene riportata nei libri dei morti degli Archivi parrocchiali con sintesi estreme e la sua diffusione è così descritta: “ Il giorno 15 Agosto 1656 è cominciata la Peste e non si è fatto officio nè funerale ai morti per essere che si sono atterrati nella Chiesa della SS. Annunciata senza eccezione di persona, e senza pompa funebre, i giorni 25 e 30 e dura ancora oggi che è il 30 settembre 1656. Ritengo che saranno morti fino a questa giornata 1.195 persone. Non si assegna numero certo per essere che si atterrano le persone senza suono di campane”.
Nella Parrocchia di San Salvatore,quindi, la peste si diffonde dal 15 Agosto 1656 e tra le prime vittime vengono registrate Livia Guarino e Silvestro Jacobino il cui paese di origine era Cerreto Sannita.
Per la Parrocchia di San Pietro, poco vicina a quella del SS.Salvatore, la pestilenza si diffonde dal 20 Agosto in poi con le prime vittime registrate (155) di un certo Andrea di Avellino e Giulia Paternostro.
Per la Parrocchia di San Felice “extra moenia” la peste si diffonde dal 6 Ottobre con la citazione della prima vittima (185) in Lucrezia del Fante; mancano i dati della Parrocchia di Sant’ Angelo .
Quindi possiamo dedurre che la pestilenza, portata dall’esterno nel centro storico, si diffonde a macchia d’olio fino ad arrivare alla periferia del borgo mietendo vittime che vanno al di sopra di quelle numerate.

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