
La “Cappella della montagna” sita a Pontelandolfo in Contrada Acqua del Campo è un luogo circondato da antiche storie e leggende.
C’era un tempo in cui la viabilità di campagna, pressoché assente, e gli scarsi mezzi di comunicazione non consentivano alle persone di spostarsi con facilità, né tanto meno, di uscire la sera per frequentare le osterie. Anche le visite al centro del paese erano abbastanza rare per chi viveva nelle zone di montagna. Bisognava percorrere a piedi diversi tratti, spesso scoscesi, e l’assenza di strade battute non consentiva nemmeno l’utilizzo di carri trainati da animali. In inverno, al termine delle giornate trascorse tra la cura degli animali ed altre poche incombenze, i contadini amavano accomodarsi vicino al fuoco a raccontare storie con i familiari fino a quando i più piccoli non si fossero addormentati. A quel punto la fiamma che ardeva i tizzoni veniva coperta con la cenere per riposare al caldo fino all’indomani quando sarebbe stata aggiunta nuova legna. Il focolare, situato al primo piano nell’unica cucina della casa, era il luogo attorno al quale le famiglie, all’epoca composte da più fratelli con mogli e figli, si raccontavano i fatti e trascorrevano le lunghe serate invernali alimentando la fiamma della tradizione popolare.
Fu in una di queste serate che mio padre, allora bambino, sentì raccontare dal nonno la leggenda su come avesse avuto origine la “Cappella della Montagna”.
In realtà, pare che inizialmente la Chiesetta sorgesse poco distante dalla sua attuale collocazione. Probabilmente distrutta a seguito di un terremoto, fu poi ricostruita nella sua attuale sede dai fedeli del luogo.
Si racconta che in una giornata piena di vento un contadino molto facoltoso stesse visitando i suoi possedimenti. Mentre passeggiava per i campi coltivati a grano, meditando su futuri affari, un vento incessante agitava le piante e quasi non gli consentiva di vedere nulla tanto era forte. Gli alberi sembravano scossi e quasi sul punto di cadere. Terra e brecce, sospinte dal vento, gli ferivano il viso, ma il contadino non ci badava preso com’era dai sui pensieri. In fondo conosceva il vento di Pontelandolfo, non per niente era chiamato il paese dei sette venti. Gli abitanti di Pontelandolfo erano abituati a convivere con essi. Col tempo erano divenuti dei veri esperti. Le conoscenze popolari consentivano di prevedere il tempo in base alla direzione, intensità e temperatura dei venti. La cosiddetta “voria”, ad esempio, che soffia da nord-est, così fredda da tagliare le guance, era solita portare gelo e neve.
Eppure, se il contadino fosse stato più attento avrebbe capito che stavolta non si trattava di un vento abituale. I cani guaivano e gli animali nelle stalle erano molto agitati, tutto lasciava intendere che non fosse il caso di rimanere all’esterno.



